Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge modifica le modalità di finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Essa, infatti, persegue l'obiettivo di incidere sul sistema vigente in materia di reperimento delle risorse, economiche e finanziarie, necessarie per l'esercizio del servizio pubblico generale radiotelevisivo e punta a fare ciò attraverso l'eliminazione di qualsivoglia prelievo fiscale di scopo nei confronti degli utenti.
      Il «retropensiero» da cui muove l'iniziativa legislativa è chiaro.
      Da un lato, vi è la consapevolezza del carattere oggettivamente considerevole degli introiti pubblicitari locupletati, annualmente, dalla RAI-Radiotelevisione italiana Spa, tanto che si può ritenere che la società operi, anche sotto tale profilo, in una posizione sostanzialmente dominante.
      Dall'altro lato, risulta priva di razionale giustificazione la perdurante imposizione di una tassa per il possesso di un apparecchio che riceve un segnale televisivo (il cosiddetto «canone di abbonamento alle radioaudizioni»), poiché è radicalmente mutata la configurazione, anche normativa, del mercato in discorso e - soprattutto - perché la moderna tecnologia permette la fruizione del servizio pubblico generale radiotelevisivo anche non utilizzando specificatamente il televisore (al riguardo, pare sufficiente porre mente alla circostanza che, attraverso sistemi come un personal computer dotato di scheda di rete e collegato a un provider un qualsiasi utente può accedere al servizio pubblico).

 

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      Dall'altro lato ancora, vi è una logica di prospettiva che la presente proposta di legge presuppone e che corrisponde - anche alla luce delle indicazioni derivanti da altre proposte di legge presentate alla Camera dei deputati - all'introduzione di un nuovo modello di affidamento del servizio pubblico basato sull'espletamento di procedure di evidenza pubblica e alla rimozione dei vincoli alla privatizzazione della Rai-Radiotelevisione italiana Spa.
      La Corte costituzionale (sentenza 19-26 giugno 2002, n. 284) ha ritenuto che fosse infondata la questione di legittimità degli articoli 1, 10 e 25 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, e degli articoli 15 e 16 della legge 14 aprile 1975, n. 103, che disciplinano il pagamento del canone di abbonamento alla RAI (l'articolo 15 della citata legge n. 103 del 1975 è stato successivamente abrogato dall'articolo 28 della legge 3 maggio 2004, n. 112), atteso che - pur dopo il venire meno del monopolio statale delle emissioni televisive - il finanziamento parziale mediante il canone consentirebbe al soggetto che svolge il servizio pubblico di adempiere agli obblighi particolari ad esso connesso, sostenendo i relativi oneri, e, più in generale, di adeguare la tipologia e la qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non piegandole alle sole esigenze quantitative dell'ascolto e della raccolta pubblicitaria e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto mercato radiotelevisivo.
      Nonostante ciò, però, non si può discutere che:

          a) l'imposizione tributaria in parola sia oramai irragionevole e in contrasto (potenziale o attuale, è lo stesso) con i princìpi costituzionali in tema di promozione dello sviluppo della cultura e di libertà di manifestazione del pensiero, in quanto destinata quasi per intero al finanziamento della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, la cui attività operativa sul mercato radiotelevisivo non è più distinguibile da quella degli altri concessionari, privati, di reti ed emittenti televisive;

          b) se l'attività di informazione radiotelevisiva, da qualsiasi emittente o fornitore di contenuti esercitata, costituisce un «servizio di interesse generale» (ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177) e persegue la finalità di ampliare la partecipazione dei cittadini e di concorrere allo sviluppo sociale e culturale, essa comunque non può assolutamente giustificare non solo l'imposizione di un onere economico a carico degli utenti, ma anche l'obbligo di corrispondere il canone a favore delle sola concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, posto che essa non svolge, nei fatti, una funzione diversa da quella di tutti gli altri concessionari.

      Tornando al punto di partenza, allora, l'approccio alla materia che la presente proposta di legge reca è, al contempo, selettivo e graduale.
      Sotto il primo profilo, l'obiettivo è conseguito sia attraverso la soppressione del canone di abbonamento alle radioaudizioni (ordinario e speciale) alla Rai-Radiotelevisione italiana Spa (previsto dal regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880) - che ha natura giuridica tributaria di imposta, così come affermato sia dalla Corte costituzionale (citata sentenza 19-26 giugno 2002, n. 284, e sentenza 12 maggio 1988, n. 535), che dalla Corte di cassazione (sentenza 3 agosto 1993, n. 8549) - sia mediante la previsione di un sistema di finanziamento esclusivamente pubblico del costo del servizio pubblico generale radiotelevisivo.
      Sotto il secondo profilo, invece, la tempistica operativa della soppressione del canone di abbonamento alle radioaudizioni è graduale - al fine di scongiurare che imprevedibili «sbilanci» di cassa possano frustrare l'effettività operativa del servizio pubblico generale radiotelevisivo - e decorre dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello di entrata in vigore della legge.

 

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